“LA DISINFORMAZIONE: COME SI ARRIVA ALLE FAKE NEWS” di Ashlinn Mai Tupponi

In un periodo storico e politico dove l’informazione, la conoscenza e la consapevolezza di ciò che ci circonda sono fondamentali, bisogna imparare a riconoscere e distinguere le varie notizie.

In un’era fortemente legata alla tecnologia, la quantità di informazioni raggiungibile tramite un click è senza limiti; questo prescinde però dall’affidabilità delle fonti: un’informazione errata potrebbe causare, infatti, panico e caos.

Anni fa l’accesso a così tante piattaforme d’informazione era impensabile: le notizie erano generalizzate e ad ampio raggio, le scelte erano limitate ad un paio di giornali e tre o quattro reti televisive, dove i fidati presentatori comunicavano le notizie agli stessi orari attendibili ogni giorno.

Il problema di questo sistema di comunicazione si rese ben presto evidente, soprattutto con il diffondersi dei mass media: sebbene fosse noto che in paesi autoritari le notizie venivano censurate e controllate, vari scandali portarono alla luce che anche molti governi democratici fuorviavano i cittadini spettatori/lettori, spesso con l’aiuto dei media (si pensi al “Watergate”, all’ “Irangate”, alla Crisi dei missili di Cuba o alle numerose corruzioni e informazioni venute a galla tramite WikiLeaks).

La rivelazione di guerre segrete, assassinii umbratili e corruzioni politiche compromisero la fede pubblica nelle narrative ufficiali presentate dalle sorgenti principali.

Questo crollo e smantellamento della fiducia riposta nei servizi d’informazione classici portò a giornali alternativi, a programmi radio, podcast, blog, che alla pari con le maggiori istituzioni giornalistiche trattavano eventi e avvenimenti tramite diverse prospettive.

Ultimamente poi, l’avvento di Internet ha moltiplicato il numero di informazioni e punti di vista tramite i social media, rendendo ogni cittadino un possibile reporter; ma se tutti sono giornalisti, allora non lo è nessuno, e molte fonti potrebbero essere discordanti non solo sulle opinioni, ma sugli eventi stessi: ciò che per qualcuno può essere una rivolta, altri potrebbero definirla manifestazione, altri ancora insurrezione. 

L’apparente minima differenza tra questi termini porta a quella che chiamiamo disinformazione: questa si traduce in un’informazione ampiamente diffusa e considerata veritiera ma inesatta. 

Nella lingua inglese esistono due parole traducibili all’italiano con “disinformazione”: “disinformation” e “misinformation”; queste parole così simili e spesso intercambiabili si distinguono dalla presenza di un fattore nell’informazione sbagliata: l’intento.

Misinformation” è quella disinformazione diffusa a prescindere da intenzioni fuorvianti, mentre “Disinformation” si riferisce a quelle notizie scorrette diffuse consapevolmente.

Dunque, considerando quella che chiamiamo disinformazione una commistione tra una divulgazione intenzionale e una diffusione involontaria, possiamo risalire alle cause e ai fattori principali di questo fenomeno.

Per quanto semplice e banale possa sembrare, spesso la disinformazione nasce da un equivoco: una parola, una nozione, un lemma di espressione verbale interpretabile in più modi possono portare ad una rielaborazione della storia intera tramite un modello interpretativo fortemente influenzato dall’accezione di quella parola equivoca.

Si pensi agli studi scientifici, ai libri, alle tesi in lingua straniera: molte lingue possiedono termini intraducibili o inesprimibili in altre. Spesso nella traduzione si va a perdere il significato originale di una parola, cambiando completamente la chiave di lettura dell’intero contenuto.

Deduzioni e ipotesi personali, opinioni e giudizi vanno poi a modificare l’informazione stessa che, trasmessa di persona in persona in un gioco di “passaparola”, porta alla disinformazione a causa della mancanza di un filtraggio delle nozioni di influenza soggettiva.

Inoltre, in quella che possiamo considerare pigrizia o abulia, il nostro cervello è naturalmente predisposto a semplificare informazioni per facilitarne la comprensione, creando un’intelligibilità narrativa che spesso però comporta l’esclusione di informazioni “minori”. 

La disinformazione nasce quindi da un errore umano, a eccezione di quando si ha invece un chiaro intento propagandistico: in politica ad esempio si è soliti usare consapevolmente una distorsione o un offuscamento dei fatti per mettere in risalto alcuni aspetti di una persona o di un partito; questo metodo viene usato anche nelle televendite o nella pubblicizzazione di prodotti le cui qualità vengono intenzionalmente sottolineate ed esaltate fino a parlare di “effetti miracolosi” (come sieri per la ricrescita dei capelli, pastiglie per la perdita di peso o cingomme per smettere di fumare).

Il metodo migliore per non cadere vittime della disinformazione, seppur difficile, si rifà ad azioni come cercare le sorgenti dirette, distinguere i fatti dalle opinioni, evitare fonti anonime, liberarsi da pregiudizi e mantenere un sano scetticismo: sta a noi e alla nostra coscienza il compito di arrivare ad un discernimento delle informazioni per la formazione di un pensiero critico e consapevole.

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